Diesel

Valori residui: il diesel non è morto!

di Marco Castelli

I valori residui delle auto diesel tengono, nonostante la demonizzazione in atto e il calo consistente delle vendite. La curva media di svalutazione, nel confronto con gli anni scorsi, sta sì calando, ma solo di qualche punto percentuale. E anche le prospettive future non sono poi così "nere" come molti le vogliono dipingere.

valori residui delle auto diesel, in Italia, non stanno crollando. E questa, senza dubbio, è una notizia rassicurante e per certi versi sorprendente, considerata la vera e propria guerra che negli ultimi anni si è scatenata contro l’alimentazione a gasolio in molti Paesi europei e il calo che il diesel sta avendo anche sul mercato del nostro Paese.

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Il tema è di fondamentale importanza. Sappiamo, infatti, quanto i valori residui delle auto (scopri qui cosa sono e come si calcolano) siano in grado di influire sui canoni di noleggio e, di conseguenza, sulle scelte di car policy dei Fleet Manager.

Approfondisci: ecco perché il diesel è ancora una scelta conveniente

L’ORIENTAMENTO DELLE CASE SULLE AUTO DIESEL

Le politiche di molti Costruttori hanno risentito del  clima di ostilità contro le auto a gasolio e, soprattutto, tengono conto delle normative europee sempre più stringenti di termini di emissioni. Tradotto: molte Case stanno orientando la loro offerta verso motori a benzina compatti, ma soprattutto verso i motori ibridi e i motori elettrici, che contribuiscono a ridurre le medie di CO2.

Partendo da questo trend di mercato, abbiamo cercato di approfondire l’evoluzione dei valori residui delle auto diesel. Stanno crollando, oppure stanno tenendo? Le previsioni di Autovista danno una risposta precisa a questa domanda.

AUTO DIESEL, COSA STA SUCCEDENDO IN ITALIA? 

Dopo un 2018 caratterizzato, tutto sommato, da numeri ancora confortanti, il 2019, come abbiamo visto anche dai dati di mercato di novembre, ha sancito il netto calo delle immatricolazioni delle auto diesel in Italia. Un calo costante a doppia cifra, determinato dall’incertezza dei clienti, che preferiscono rinviare l’acquisto dell’auto, oppure orientarsi verso altre alimentazioni. Parlando di valori residui, però, il trend è un po’ diverso.

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“Il valore residuo non ha sempre un nesso diretto con gli andamenti del mercato del nuovo, perché, oltre a essere espressione del rapporto tra domanda e offerta, tiene conto dell’attuale situazione del parco circolante” esordisce Stefano Ferruzzicountry manager di Autovista Italia.

I VALORI RESIDUI DELLE AUTO DIESEL TENGONO

Nonostante la demonizzazione in atto e il consistente citato calo delle vendite, i valori residui previsionali delle vetture diesel scelte dalle flotte aziendali (ci riferiamo ovviamente alle auto di ultima generazione, ovvero le Euro 6 d-Temp) tengono ancora botta. Oggi la curva media di svalutazione, nel confronto con gli anni scorsi, sta sì calando, ma solo di qualche punto percentuale. Società di noleggio e aziende, quindi, possono tranquillamente continuare a scegliere il tanto vituperato gasolio e affrontare con maggiore tranquillità la transizione energetica.

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“Dal punto di vista del valore residuo, il calo del gasolio è molto meno forte, perché all’incirca il 70% del parco circolante italiano è tuttora a gasolio – prosegue Ferruzzi – Dobbiamo però fare una distinzione tra veicoli recenti e veicoli più vecchi. Un anno fa è entrata in vigore la normativa Euro 6 d-Temp, che si sta rivelando un vero e proprio spartiacque in termini di VR previsionali: i clienti, infatti, sono disposti a pagare un prezzo alto per le auto diesel immatricolate da settembre 2018 in poi, mentre quelle immatricolate in precedenza stanno avendo un calo significativo. Dire però che l’usato diesel non vale più niente è assolutamente sbagliato”.

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dati di Autovista lo confermano: dal 2016 al 2019nell’intervallo 36 mesi/60 mila km, in media i valori residui delle auto diesel sono calati, ma soltanto di due punti percentuali scarsi, dal 45,9% al 44,2%. Le auto a benzina, nello stesso periodo, sono cresciute, ma rimangono sotto al gasolio (42,2% nel 2019, contro 40,1% nel 2016). Attenzione, quindi, a dire che sta succedendo il finimondo…

COSA ACCADRÀ IN FUTURO?

Anche in vista del futuro, le prospettive delle auto diesel non sono così “nere” come molti le vogliono dipingere. “Anche nei prossimi anni, secondo noi, il valore delle auto diesel Euro 6 d-Temp si manterrà stabile o comunque in leggero calo, mentre saranno penalizzati i veicoli a gasolio più vecchi, che però, come sappiamo saranno fisiologicamente smaltiti dalle flotte aziendali” afferma Ferruzzi.

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Tradotto: ci sarà certamente un fenomeno di sostituzione delle auto diesel all’interno dei parchi, a favore delle vetture a benzina e delle alimentazioni alternative, ma non sarà rivoluzione.

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Fonte: FleetMagazine

AUTO DIESEL, VENDENDONE MENO NON CALERANNO LE EMISSIONI DI POLVERI E NOX

La fuga dal motore diesel porterà un beneficio ambientale? Per adesso come sappiamo comporta un danno economico all’Europa, nella misura in cui una sua industria portante, l’auto, perde di competitività verso i costruttori nord-americani e asiatici. La domanda è: ne vale la pena? Meno macchine diesel nuove, Euro 6d, faranno diminuire sensibilmente le emissioni inquinanti, principalmente polveri sottili (PM 10 e 2,5) e ossidi di azoto (NOX)? Stando alle analisi (ormai ce ne sono di varie fonti) sembrerebbe proprio di no, per due motivi. Il primo è che sono i vecchi motori diesel a inquinare, non quelli di ultima generazione.

Tra un motore Euro 1 (1993) e uno di oggi ci passa il 95% in meno di emissioni. In termini concreti, significa che abbiamo un problema sociale: tanti cittadini che posseggono e usano (poco o meno poco) un’auto nociva per l’ambiente. 13,7 milioni di macchine ante Euro 4, pari a oltre un terzo del parco circolante. Scoraggiare l’acquisto di nuovi diesel fa sentire meglio gli illusi, ma il problema nemmeno lo scalfisce.

Il secondo è che i diesel sono una fonte minore di questi inquinanti. Secondo le analisi di Aeris Europe, un organo consultivo, nel 2015 il 40% degli NOX proveniva dal trasporto su gomma e segnatamente il 14% dalle auto diesel. Tutte. Con l’avvicendamento delle vecchie con le nuove Euro 6d si stima un dimezzamento entro il 2025. Inoltre, a febbraio di quest’anno alcuni test RDE (real drive emission) dell’ADAC (Allegemeiner Deutscher Automobil Club) ha mostrato che alcune auto hanno già emissioni di NOx prossime allo zero.

Per il particolato la questione è addirittura inconsistente. Dalla stessa analisi risulta che quello riconducibile alle auto diesel è appena il 4% del totale, poca roba a confronto con quello prodotto dalle abitazioni (46%) o col 44% proveniente dall’industria, dai rifiuti e da altre attività. Non solo, di quel 4% dagli scarichi ne esce solo la metà e in forte diminuzione, via via che le Euro 6d sostituiscono le auto più vecchie.

L’altra metà deriva da usura di freni e pneumatici e, soprattutto, dal sollevamento dal suolo, come le giornate di pioggia indicano a tutte le amministrazioni e come un’apposita analisi, condotta da Dekra per la città di Stoccarda, ha scientificamente confermato: c’è una relazione inversamente proporzionale tra il numero di giornate di lavaggio delle strade e il numero di giorni di allarme e sforamento dei valori di PM. I 65 giorni di sforamento, registrati con soli 27 giorni di lavaggio, sono diminuiti a 23 quando i giorni di lavaggio sono saliti a 89. Chiarito questo, Dekra ha proseguito l’indagine, misurando il livello di PM in una stazione della metropolitana, dove ha riscontrato un valore di 60 microgrammi/m3, il 20% superiore ai limiti dell’UE, che saliva fino a 655, ben 13 volte il livello massimo, nei momenti di avvicinamento e arrivo del treno in stazione.

Per soprammercato, potremmo aggiungere che le minori vendite di auto diesel, che resta il motore più efficiente, stanno determinando un innalzamento delle emissioni di CO2. Ma in realtà avrebbe poco senso, perché la CO2 riconducibile a tutte le macchine circolanti nell’UE è circa lo 0,06% del totale che il Pianeta produce ogni anno, tanto che l’intera faccenda delle multe basate sulla CO2 ha davvero scarso fondamento.

In conclusione, di fronte alla oggettiva difficoltà ad affrontare le vere cause dell’inquinamento (riscaldamenti e, in misura minore, vecchie auto), sembra che sia una tacita intesa a consolarsi spingendo i consumatori a non comprare più auto diesel. È possibile che ciò sia frutto di banale disinformazione, eventualmente ben alimentata da fonti estranee e non coincidenti con gli interessi economici e ambientali delle comunità che soffrono livelli eccessivi di inquinamento – e che purtroppo continueranno a soffrire.

 

Articolo uscito su Il Sole 24 Ore il 29 aprile 2019 a firma di Pier Luigi del Viscovo